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“Mediamorfosi” la rivoluzione digitale che ha mancato la scuola

Tempo di lettura: 11 Minuti

Già nel 2010 Ken Robinson evidenziava la necessità di cambiare i paradigmi dell’educazione divenuti ormai obsoleti in un mondo sempre più globalizzato.

Ma è realmente possibile scardinare delle logiche che sembrano radicate profondamente nei sistemi scolastici?

Pensiamo ad esempio alla difficoltà che ancora oggi abbiamo nelle scuole, nell’adozione dei libri di testo in formato digitale.

La tecnologia libro nasce nel 4000 insieme ovviamente ad un’altra tecnologia, ovvero alla scrittura. Sono i Sumeri, l’antico popolo che viveva nella Mesopotamia meridionale, a inventare il primo sistema di scrittura documentato: la scrittura cuneiforme. I segni venivano impressi con un utensile appuntito su una tavoletta di argilla che veniva poi fatta asciugare.

Tavoletta di argilla e la scrittura cuneiforme
Tavolette cerate

Nel 2400 a.C. il papiro diviene il supporto più utilizzato per la scrittura grazie alla sua pianta da cui viene estratto il midollo tagliato a strisce, pressato, incollato e asciugato. Il risultato? Un foglio su cui si poteva scrivere con un calamo affilato, ricavato dal gambo di una canna. I fogli di papiro venivano incollati all’estremità, andando a formare un rotolo, solitamente di 2-­3 metri, chiamato volumen.

Intorno al II secolo d.C. il volumen iniziò ad essere sostituito dal codice, codex, in pergamena. Una membrana ricavata dalla pelle di animale calcinata, pulita e stirata, permetteva di ottenere una superficie sottile, molto levigata, resistente ed elastica. Il codice è il primo deposito di informazioni riconosciuto come “libro”. Esso, oltre ad avere la forma pressoché identica al libro odierno, consente un’organizzazione razionale del testo: impaginazione, divisione in capitoli, indice degli argomenti, ecc

Papiro
Pergamena

Un aumento della produzione libraria si registrò già prima dell’avvento della stampa, per l’incidenza di due fattori fondamentali: l’introduzione della carta, importata dall’Oriente tramite gli arabi, e lo spostamento della produzione manoscritta dai centri monastici alle città sede di università. A questo si affiancò un’espansione del mercato: non sono più solo i grandi centri ecclesiastici e universitari a commissionare i libri, ma anche tutto un nascente ceto borghese e mercantile: il libro, da oggetto raro e prezioso, divenne strumento di lavoro. L’apparizione della stampa a caratteri mobili si collocò così in un universo che aveva già subito trasformazioni importanti.

Caratteri mobili di legno (Cina)

In Europa si deve a Johannes Gutenberg il primo libro stampato con la nuova macchina, questo è la “Bibbia di Gutenberg”, che vide la luce il 23 febbraio 1455 con una tiratura di 180 copie. Gutenberg, cercando di riprodurre in tutto e per tutto il manoscritto, ci fa capire che la concezione generale di “libro” era sempre basata sul codex. Le procedure meccaniche che mise a punto, infatti, non volevano trasformare il libro, ma ridurre, semplicemente, i tempi di produzione.

Nel 1501 nascono i primi tascabili dei classici in greco e in latino. Aldo Pio Manuzio è ricordato per due scoperte che dovevano essere citate nella cronistoria del libro: inventò il formato tascabile e introdusse il tipo corsivo, le cui lettere compatte aiutavano a risparmiare spazio. Il corsivo, usato per la prima volta nel 1501 per la sua edizione di Virgilio e poi nel 1502 nella sua edizione di Dante (il corsivo si chiama italics in inglese proprio a causa della sua origine nella tipografia veneziana di Manuzio). Grazie a queste scoperte, molti più “gentiluomini” potevano possedere dei libri e, all’occorrenza, infilarli in tasca per leggerli quando e dove preferivano. Altra curiosità da citare è che Manuzio editò il primo libro con le pagine numerate su entrambi il lati (recto e verso).

Il 2000 può essere considerato l’anno zero per l’ebook. Storico fu il primo caso editoriale, il 14 Marzo 2000, con il rilascio in formato ebook da parte di Stephen King, autore tra i più venduti al mondo, del romanzo breve Riding the Bullett (Cavalcando il proiettile).

Il maestro dell’horror ha reso disponibile il romanzo esclusivamente sul web affidandone la distribuzione ai principali venditori di libri online: nelle prime 48 ore l’ebook è stato acquistato e scaricato da ben 500.000 persone.

Timeline creata con Canva

Seppur nel corso della storia si modificano i supporti, il testo rimane però sempre: lineare, circoscritto e fisso.

Secondo Antonio Calvani: «La struttura fisica del testo ha condizionato le forme stesse della conoscenza. […] Generazioni di studiosi hanno interiorizzato queste qualità sino al punto di vedere in esse caratteristiche intrinseche dei modi del conoscere. La prosa espositiva con la sua struttura lineare e proposizionale è stata identificata con la forma privilegiata del sapere» 

Il libro digitale apporta la stessa rivoluzione gutenberghiana solamente se scardina le caratteristiche del testo fisico. I primi ebook (e purtroppo il 99% anche di quelli attuali), altro non erano che documenti pdf resi disponibili su lettori digitali. E’ facilmente comprensibile pertanto che non è sufficiente un nuovo supporto (da analogico a digitale); per ottenere un cambiamento di paradigma infatti, devono concorrere due caratteristiche  ben specifiche.

Sarà necessario infatti che il testo digitale:

1. Integri mezzi espressivi diversi (testo con immagini, suoni, filmati, ecc.);

2. Abbia una struttura reticolare (non sequenziale) in modo da consentire di seguire percorsi di lettura differenziati che da un lato permettano  più livelli di lettura (possibilità di approfondire concetti o argomenti), e dall’altro rendano possibili strategie di apprendimento differenziate (leggere alcuni argomenti prima di altri, o seguire vari percorsi di lettura in relazione allo stesso argomento).

La scrittura intertestuale è sempre esistita, se ci pensiamo infatti, all’interno di un testo vi sono sempre una serie di rimandi che portano ad approfondire i contenuti in altri testi. David Bolter  sostiene che “il link è l’equivalente digitale della nota a piè pagina, in uso da secoli nei libri a stampa“. Ma Bolter dice anche che tra un link e una nota a stampa c’è una differenza importante: “anche la nuova pagina può contenere link, condurre il lettore a nuove pagine in modo potenzialmente infinito. Il testo letterario non va quindi considerato come oggetto unico e immodificabile, scritto una volta per tutte, nella sua forma definitiva, dall’autore, ma bensì come forma dinamica con infinite possibilità di evoluzione“.

Infografica realizzata con Canva

La nostra cultura sta cercando di utilizzare le nuove tecnologie per riconfigurare il libro stampato, che è il principale destinatario della sfida digitale, il quale però sembra non voler smettere di rifarsi al passato. Come le prime stampe a caratteri mobili cercavano di imitare volontariamente i manoscritti, così l’e­book si impegna sempre più a voler imitare necessariamente il foglio bianco, l’azione dello sfogliare le pagine, i caratteri a stampa, obbligando una lettura sequenziale, quella tipica appunto del libro.

In Agenda Digitale, Roberto Maragliano, afferma che: “la scuola italiana, così come strutturata ormai da troppo tempo, non può più reggere, il suo ritardo tecnologico altro non è che il segno rivelatore di una arretratezza culturale e pedagogico-didattica. Il vero problema che la scuola deve affrontare è non già l’abbandonare il libro di testo, bensì capire quale è la gabbia mentale e culturale che è tipica di una cultura fondata sulla mentalità del libro stampato, che fa riferimento ad un sapere scomponibile ed analizzabile. Da 150 anni invece si è affermata, in sede scientifica e artistica, un’altra forma di sapere mobile, fluido, perennemente aperto. La tecnologia digitale e di Rete esprime questa forma di sapere che oggi è anche alla base dell’economia, delle relazioni e delle comunicazioni sociali”.

Difficile inoltre sdradicare l’idea del “profumo della carta” che in molti (non) lettori resiste ancora e viene portato come motivazione per non utilizzare il digitale.

Il sito del Miur nella sezione “Libri di testo” afferma che:

Il libro di testo è lo strumento didattico ancora oggi più utilizzato mediante il quale gli studenti realizzano il loro percorso di conoscenza e di apprendimento. Esso rappresenta il principale luogo di incontro tra le competenze del docente e le aspettative dello studente, il canale preferenziale su cui si attiva la comunicazione didattica. Il libro di testo si rivela uno strumento prezioso al servizio della flessibilità nell’organizzazione dei percorsi didattici introdotta dalla scuola dell’autonomia: esso deve essere adattabile alle diverse esigenze, integrato e arricchito da altri testi e pubblicazioni, nonché da strumenti didattici alternativi.

Il sito della Camera dei Deputati, raccoglie invece le varie leggi che sono state introdotte in merito ai libri di testo. Tra le varie leggi, una delle più significative che ha visto delle modifiche sostanziali nel corso degli anni è sicuramente quella sull’adozione dei libri digitali: art. 15 Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge con modifiche dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221,

E’ evidente nel passaggio dalle varie leggi, come le potenti lobby degli editori abbiano spinto al fine di limare quella che poteva essere una trasformazione non solo tecnologica ma soprattutto culturale. Infatti seppur nel testo di legge viene riportato che “dall’anno scolastico 2014/2015 i libri di testo saranno o nel solo formato digitale o in formato sia digitale che cartaceo. Gli istituti scolastici vengono obbligati ad adottare libri disponibili in commercio esclusivamente secondo tale modalità” ad oggi ben pochi istituti (pensiamo anche alla nostra Università) adotta libri unicamente digitali.

Circa un anno fa (ottobre 2019) durante la Fiera Didacta, Aie (Associazione Italiana Editori) in collaborazione con il Miur ha presentato nel convegno “Libri di testo e risorse digitali per l’apprendimento. Strumenti diversi per una scuola che cambia” i dati di adozione dei libri digitali nelle scuole.

Cito testualmente dal loro sito: “La ricerca, condotta tra gli editori che operano nel settore educativo per valutare le modalità di studio degli studenti, tra carta e digitale, dimostra come negli ultimi cinque anni l’adozione del libro misto (versione che comprende una parte cartacea e una digitale accompagnata da contenuti digitali integrativi, senza aggravio di costo per l’utente) sia passata dal 70% al 92%, mentre il libro di testo completamente digitale (il cosiddetto ebook) sia rimasto pressoché stabilmente fermo all’1%“.

Incuriosita dai dati che erano stati presentati ho pensato di chiedere all’AIE (tramite mail) se potevano fornirmi i dati dettagliati (dataset) della loro ricerca in modo tale da poter capire se ritenere valida o meno la loro indagine, (purtroppo quando si leggono i dati ci si deve sempre interrogare sulla validità degli stessi).

Questa di seguito la loro risposta

Vista la loro mail però, non potevo non chiedere maggiori dettagli

Ciò che mi sembrava non corretto è che venissero pubblicati dei dati non supportati da una validità pseudoscientifica.

Quando si pubblicano delle ricerche, come in questo caso da fonti che dovrebbero (utilizzo il condizionale appositamente) essere autorevoli come l’Associazione Italiana Editori, presentati oltretutto durante una delle fiere “educative” più popolari in Italia e condotte con il partneriato del Miur, mi aspetto che ovviamente siano dati raccolti seguendo gli standard del campionamento statistico o perlomeno quanto più vicino appunto ad una ricerca scientifica.

Qui il link per visualizzare le slide.

Purtroppo come potete vedere, le slide non contengono dati analitici, non contengono le informazioni sul campione e non contengono informazioni utili affinché si possa pensare che i dati siano quanto più corrispondenti alla realtà.

Senza andare troppo fuori tema, è però importante affrontare seppur marginalmente l’importanza della manipolazione dei dati. Se pubblico dei dati aggregati senza l’opportuna corrispondenza dei dati analitici potrei ad esempio affermare che il 60% degli intervistati preferisce il libro cartaceo a quello digitale:

Ma se poi andiamo a vedere nel dettaglio i dati analitici potremmo scoprire ad esempio che ho intervistato unicamente 10 persone, quindi il mio totale, ovvero il 100% è dato appunto da un numero irrisorio. La percentuale di differenza tra le preferenze è pertanto la seguente:

Inoltre quando si parla di dati sarebbe sempre opportuno verificare se si è fatto attenzione ad individuare un campione rappresentativo. Sempre sull’esempio di cui sopra, se le 10 persone che ho intervistato sono mia nonna, mia madre, mia zia etc… ovviamente è chiaro che non può essere una ricerca valida.

Questa breve digressione è stata fatta per evidenziare quanto ad oggi purtroppo non abbiamo ancora dei dati certi che ci permettono di capire quanto la lettura di testi digitali sia realmente utilizzata rispetto ai libri cartacei.

Purtroppo per poter pubblicare dei dati attendibili sugli eBook dovremmo attendere probabilmente la prossima indagine ISTAT. Quella del 2018 (su dati del 2017) afferma che:

La versione digitale è particolarmente diffusa per i libri di avventura e gialli (82,1%), i testi di informatica (62,9%) e matematica (61,4%), i libri di attualità politico-sociale ed economica (56,1%).

Infografica realizzata con Canva

Soltanto una parte minoritaria degli e-book pubblicati (13,4%) presenta contenuti o funzionalità aggiuntive rispetto alla versione a stampa della stessa opera; in larga parte sono, invece, trasposizioni digitali del testo stampato su carta. La pubblicazione di libri esclusivamente in formato e-book, cioè senza una corrispettiva versione cartacea, è poco frequente tra gli operatori osservati: riguarda solo il 5,6% (11,4% per i grandi editori).

Secondo gli editori attivi la caratteristica degli e-book più apprezzata dal pubblico è il prezzo di vendita ridotto (71,7%), seguita dalla facilità di trasporto e di archiviazione dei contenuti (51%). Meno rilevante la facilità di reperimento e di acquisizione dei titoli (19,1%), la fruizione interattiva (ricerche sul testo, segnalibri, note, applicazioni per la formattazione) (16,9%) e la multimedialità (11,3%).

Infografica realizzata con Canva

I principali ostacoli alla diffusione degli e-book segnalati dagli editori sono, di converso,
l’immaterialità del libro digitale (51,7%), l’insufficiente alfabetizzazione informatica dei lettori (38,9%) e
lo scarso comfort visivo (32,6%). Anche il basso numero di lettori forti è indicato come un elemento
critico (26,2% dei rispondenti).

L’Osservatorio per la scuola digitale del MIUR previsto dall’azione #33 del Piano nazionale per la scuola digitale (PNSD), “rappresenta uno strumento informativo necessario per valutare l’avanzamento didattico, tecnologico e d’innovazione del sistema scolastico e per programmare gli interventi per lo sviluppo della digitalizzazione didattica e amministrativa delle istituzioni scolastiche“.

L’Osservatorio annualmente richiede alle scuole di rispondere ad un questionario per capire l’avanzamento “digitale” delle istituzioni scolastiche, peccato però che nuovamente sono costretta a parlare dell’importanza della rilevazione dei dati. A questo link vi è il dettaglio delle domande presenti per l’indagine. Come vedete, a pagina 26, 27 e 35 le domande che vengono poste affinché sia misurato il grado di “digitalizzazione e innovazione” della scuola sono piuttosto vaghe:

Le domande qui riportate evidenziano come purtroppo probabilmente ci sia ancora un profondo fraintendimento sulle parole “innovazione e digitale”. L’inserimento di una tecnologia non necessariamente apporta un’innovazione. Come affermava Ken Robinson nel video di apertura, è necessario un cambiamento culturale che vada a stravolgere gli ormai obsoleti paradigmi che reggono la scuola istituita con logiche che oggi non sono più valide se vogliamo che gli studenti siano interessati e “vivi” durante il processo di apprendimento.

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