Alcuni studenti della Laurea Magistrale in Informazione Digitale condividono brevi riflessioni che ripercorrono la loro vita da studenti in un momento storico particolare tra lockdown e ripartenze in presenza.
Pensieri Asincroni
di Francesca Lazzari
Ma quanto è bella la nostra università? La scopro oggi per la prima volta dopo un anno dall’iscrizione. In questo primo anno di magistrale l’unica cosa che ho avuto modo di vedere sono stati i volti dei docenti e dei miei colleghi di corso attraverso uno schermo, o meglio mediati da uno schermo. In pandemia l’università è stata la mia camera, la mia cucina, il balcone di casa, luoghi domestici in cui vivevo un’esperienza universitaria atipica. Come me immagino ci siano stati tanti altri studenti per i quali l’aula è stata la propria casa, il divano è diventato la sedia, il banco il tavolo del salotto.
Mi chiedo, mentre osservo la fontana che mi fa sgranare gli occhi per la sua bellezza, se però mi è mancato qualcosa.
La risposta è no, non mi è mancato nulla e forse in realtà ho avuto di più.
Ho avuto la possibilità laddove non potevo seguire in diretta le lezioni, di vederle registrate durante la pausa pranzo o dopo cena. Per alcune era diventato un appuntamento fisso, una sorta di serie tv, tanto che con gli altri studenti non mi riferivo alle lezioni, ma alle puntate del Prof di turno: “sono arrivata alla quarta puntata del Prof…”, dicevo per uniformarmi sugli argomenti.
Con alcuni colleghi di corso ci siamo visti solo online per un paio di mesi prima di riuscire a “conoscerci” in presenza, ma quando ci siamo visti dal vivo, l’amicizia, l’affiatamento e il supporto che ci eravamo forniti vicendevolmente era già stato il collante che ci aveva unito virtualmente. Insieme durante le videocall notturne ci confrontavamo sulle lezioni, ognuno di noi le fruiva in tempi e modi differenti, chi come me dopo cena sdraiata sul divano a prendere appunti e lasciarsi ispirare dalle sollecitazioni fornite dai docenti durante le loro spiegazioni, chi dallo smartphone di mattina in macchina mentre viaggiava da Tarquinia a Roma per lavoro; chi sui mezzi da Civitavecchia per raggiungere il centro di Roma. Supporti diversi, persone diverse, mondi diversi potrei dire, ma uniti dalla volontà di non acquisire conoscenze unicamente dai testi previsti per gli esami.
Ognuno di noi ha fatto uno sforzo in più per poter seguire le registrazioni. Molti di noi oltre ad essere lavoratori, sono anche genitori, ma lo abbiamo fatto perché crediamo fermamente che ogni docente durante la propria lezione condivida non solo le proprie conoscenze e competenze sull’argomento, ma metta in gioco anche una parte di sé stesso, un valore unico e irripetibile. Quest’anno noi studenti lavoratori, abbiamo per la prima volta potuto cogliere tale valore aggiunto. Il covid ha permesso che anche le università non telematiche potessero registrare le lezioni e metterle a disposizione degli studenti. Per la prima volta anche se solo virtualmente, ho potuto vivere l’università così come la stavano vivendo tutti gli altri studenti, senza una distinzione tra frequentanti e non frequentanti.
È bella la nostra università? Sì, lo è; e lo è non solo a livello architettonico (sono ancora qui che mi meraviglio mentre ne scopro gli angoli nascosti e i portici), ma ciò che è bello della nostra università sono i docenti che ti chiamano per nome (non è scontato, spesso nelle grandi università si viene identificati – quando va bene – per matricola), o che ti chiedono come vanno gli altri esami; sono belli i compagni di studio (che io chiamo compagni di viaggio) con i quali condividere i momenti di ansia pre-esame, le maratone di studio e ripasso, il gioire per un esame superato o semplicemente il supporto nella decisione di non affrontare l’esame previsto.
Insieme agli altri studenti del corso di studi abbiamo chiesto alla nostra università di mettere a disposizione le lezioni registrate anche quest’anno. Speriamo con tutto il cuore che ci sarà data la stessa occasione e poterci sentire parte del gruppo come lo scorso anno. Mentre esco dal cancello e mi lascio alle spalle l’entrata dell’Università della Tuscia, penso che ciò che fa di un’università una bella università, non sia la sua struttura architettonica né la sua selezione di testi per la preparazione degli esami, ma semplicemente credo che siano le persone: docenti, personale amministrativo e noi tutti studenti. Siamo noi la nostra bella Università.
Mentre esco dal cancello e mi lascio alle spalle l’entrata dell’Università della Tuscia, penso che ciò che fa di un’università una bella università, non sia la sua struttura architettonica né la sua selezione di testi per la preparazione degli esami, ma semplicemente credo che siano le persone: docenti, personale amministrativo e noi tutti studenti. Siamo noi la nostra bella Università.
Il drive della mia memoria emotiva
di Federica Gabrielli
Dopo aver conseguito nel 2008 la mia laurea triennale, ho inseguito il sogno di portare a termine il mio ciclo di studi. Ci ho provato sul serio. Mi sono iscritta per un paio di volte in diverse Università, ma trasferimenti di lavoro improvvisi mi hanno sempre reso impossibile restare fedele al mio impegno. Ero scoraggiata e demotivata, ed ho inoltrato il mio Elenco degli esami sostenuti ad una mia carissima amica, e le ho chiesto aiuto, e di tormentarmi fino a quando non avessi portato a compimento la promessa che mi ero fatta.
Era settembre 2020. Il pensiero di tornare all’Università mi ronzava in testa determinato e prepotente. Le giustificazioni che mettevo sul mio tavolo, ed i buoni motivi per non farlo, sembravano plausibili per rimandare – ancora una volta – quel sogno. Un lavoro full time, impegni extra lavorativi, gli allenamenti, il tempo libero già inesistente, e poi ti sei laureata in un altro dipartimento, minimo devi pure colmare qualche debito…ma non ci pensare proprio”, continuavo a ripetermi.
Ed ecco che arriva Lei, che mi racconta che all’Università della Tuscia le lezioni sono tutte online, e registrate, mi dice di pensarci, e mi inoltra il file che per 13 anni era rimasto sul desktop. Dopo un lungo corteggiamento ed essermi auto lavorata ai fianchi, cedo. Mi immatricolo. In un attimo vengo sopraffatta dalle emozioni, dalla paura di non farcela, ma poi mi imbatto in Moodle.
Tutto ha un respiro diverso e, grazie alle lezioni registrate, il mio isolamento di 3 settimane causa Covid-19 diventa uno splendido pretesto per recuperare il programma. Vedo in differita i miei compagni di corso e mi sembra di conoscerli già, seguo le lezioni con la possibilità di mettere pausa e play all’occorrenza, posso ascoltare il trasporto dei Professori nel loro insegnamento ma, soprattutto, mi sento parte viva ed attiva del percorso che ho intrapreso.
Sento che sono l’esempio concreto del “senza fretta, ma senza sosta”, posso essere arrivata in ritardo, ma grazie a questa opportunità posso recuperare senza problemi.
Lezioni ascoltate e seguite in metro, in pausa pranzo, mentre andavo a fare la spesa, aperitivi digitali tra un esame ed una crisi di studio, ed un primo anno è volato. Metterò tutti questi ricordi digitali sul drive della mia memoria emotiva…per poter mettere pausa e play ogni volta che avrò voglia di godermi di nuovo ogni singolo momento delle numerose opportunità che abbiamo ricevuto dalla formazione digitale.
Hackerare il tempo
di Luca Cerquatelli
Il wirelessness ormai è il nuovo ambiente dove ci muoviamo. Un insieme di dispositivi e reti che ci circondano, a casa, in treno, mentre guidiamo la macchina per andare al lavoro. L’immersione nel wirelessness, che con un calco potremmo tradurre in “senzafilezza”, ci apre a infinite possibilità, fino a poco tempo fa impensabili. La chiave per accedere a questo ambiente è rappresentata dal medium smartphone, e la porta che utilizziamo per tutto il tempo è basata sull’asincronia. Tranne quando telefoniamo o videochiamiamo qualcuno, infatti, noi siamo in modalità asincrona. Leggere un’e-mail, guardare un video su Youtube, mandare un messaggio su Telegram, è tutto asincrono.
La possibilità di accedere a contenuti che non siano “in diretta” è ciò che ha permesso alla Rete di evolversi e di dare infinite opportunità a chi non ne aveva. E tutto questo processo è intimamente legato al fattore tempo. Nell’ambiente del wirelessness, grazie all’asincronia, il tempo può essere hackerato. Si può ascoltare un libro mentre si fa jogging, si può scrivere tramite l’assistente vocale mentre si guida, e si può ascoltare una lezione universitaria la sera dopo una giornata di lavoro in smartworking.
È così, ad esempio, che sono riuscito a dare moltissimi esami e a laurearmi proprio nell’anno della pandemia: hackerando il tempo.