(Estratto da Democrazia dello smartphone. Risorsa o pericolo?)
La sfera pubblica rappresenta sicuramente uno degli strati fondamentali della democrazia e della società in senso lato. Negli ultimi anni si è fatta largo la consapevolezza che stiamo attraversando una fase di degrado della sfera pubblica, e che questo processo impoverisce la democrazia e le regole base della convivenza civile.
Occorre però fare il dovuto distinguo tra “sfera pubblica” e “opinione pubblica”. L’opinione pubblica è frutto di convinzioni, pregiudizi e anche semplici umori di un pubblico. Si tratta di modi di vedere e sentire che possono essere facilmente rilevati con dei sondaggi, anche quando gli intervistati sono chiamati ad esprimere un giudizio su questioni di cui sanno poco. Come osserva acutamente Walter Privitera: “il risultato è che da una somma di sostanziali ignoranze individuali si fa discendere ciò che si chiama comunemente opinione pubblica”. Oggi, in una trasposizione digitale, potremo assimilarla alla parola d’ordine “trending topic”.
Oggi, con l’avvento della digitalizzazione e quindi dei nuovi media digitali, la sfera pubblica assume un volto nuovo e dai lineamenti molto complessi: si parla infatti da qualche tempo di “sfera pubblica digitale”. Già negli anni sessanta Marshall McLuhan affermava: “Tutti i media ci investono interamente. Sono talmente penetranti nelle loro conseguenze personali, politiche, economiche, estetiche, psicologiche, morali, etiche e sociali, da non lasciare alcuna parte di noi intatta, vergine, immutata”.
Il mutamento del quadro socioeconomico generale dovuto alla globalizzazione e alla digitalizzazione, ha spostato inizialmente i conflitti della sfera pubblica dalla lotta tra classi alla lotta tra consumatori, e nello stato attuale ad una lotta tra i dati, o per i dati. Il grande filosofo Jürgen Habermas, intervistato su Repubblica nel 2014, dichiarava queste parole riguardo la democrazia nell’era di Internet:
Nel corso dell’Ottocento – con l’aiuto dei libri e dei giornali di massa – abbiamo visto nascere delle sfere pubbliche nazionali dove l’attenzione di un numero indefinito di persone poteva applicarsi simultaneamente sugli stessi problemi. Questo è ciò che la rete non sa produrre: distrae e disperde. Pensi ai mille portali che nascono ogni giorno: per collezionisti di francobolli, per studiosi di diritto costituzionale europeo, per ex alcolisti. Nel mare magnum dei rumori digitali queste comunità sono come arcipelaghi dispersi. Ciò che manca loro è il collante inclusivo, la forza di una sfera pubblica che evidenzi quali cose sono importanti.
Il professor Massimo di Felice, sostiene che ormai il terreno dove si svolgono i processi decisionali è frutto delle interazioni complesse tra attanti umani e non-umani. Il sociologo canadese Derrick de Kerckhove rincara la dose parlando di emigrazione del “sé” verso un gemello digitale, e di una datacrazia ormai imperante in alcuni stati come la Cina.
Questa premessa era necessaria per arrivare al modello della “Datacrazia” intesa come il governo dei dati, e quello di “Democrazia digitale”, che vede le piattaforme di e-democracy al livello più alto della sfera pubblica e il cittadino digitale ai vertici del potere. Sono modelli teorici piramidali contrapposti che rappresentano due potenziali strutture di potere del prossimo futuro, ma accomunate dalla centralità dell’elemento digitale nella società e nel mondo.
La piramide della datacrazia, che significa “governo dei dati”, è una sintesi schematizzata di come oggi i dati possono esercitare un potere decisionale enorme nei governi di tutto il mondo. Derrick de Kerckhove sostiene che “la datacrazia è la risposta al dominio dell’algoritmo”. La cosa più preoccupante è che non stiamo parlando del futuro, ma del presente. Il sistema dei social credits messo in atto dal governo cinese (di cui in Italia quasi nessuno parla) ne è la dimostrazione più evidente, proprio come succede nella puntata “Nosedive” della distopica serie televisiva Black Mirror di Netflix, ovvero un sistema che prevede una profilazione senza precedenti di cittadini, enti ed imprese finalizzata ad una valutazione da parte dello stato, con meccanismi premiali o sanzionatori. La piramide vede alla base la massa dei cittadini, ridotti a follower e consumatori, e soprattutto a produttori di dati per la profilazione. Il concetto di “datificazione” della massa rappresenta oggi un nuovo campo di studio dell’antropologia culturale e digitale.
La sfera pubblica vede nella parte più alta i media digitali, con al centro lo smartphone, mentre i media tradizionali (televisione, stampa, radio) sono più in basso, con stampa cartacea e radio agli ultimi posti. Lo smartphone rappresenta l’apice della sfera pubblica, perché è il medium fondamentale per informarsi, acquistare, socializzare e per esprimere la propria opinione, di conseguenza è lo strumento più usato per la profilazione, un contenitore di tutti gli altri media, ma soprattutto una protesi della mano con cui interagiamo continuamente ogni giorno. Nella sezione più alta della piramide, quella del “potere”, troviamo al gradino più basso i “leader politici”, la personificazione mediatica dei vecchi partiti ormai scomparsi dalla sfera pubblica e ridotti a mere società di scopo, organizzazioni create ad hoc a sostegno dei leader. I leader politici inseguono costantemente l’opinione pubblica e quindi gli umori dei loro follower attraverso un uso massiccio dei sondaggi: quel fenomeno che il politologo Luigi Di Gregorio chiama provocatoriamente “sondocrazia”.[1] I leader sono “scelti dall’algoritmo” perché devono incarnare al meglio il popolo, esserne l’espressione umorale, esprimere il trending topic, fornire ai follower le emozioni da consumare velocemente.
Alla periferia del potere troviamo, ormai, il Parlamento, che ha perso la sua centralità, delegittimato dall’opinione pubblica, sempre più somigliante ad un teatro dove la spettacolarità vince sugli argomenti, spesso “scavalcato” dal potere esecutivo e dalla burocrazia, è ridotto ad una assemblea dove avviene ritualmente la conta dei voti. Gli “stakeholders”, invece, rimangono uno strato solido e forte all’apice della piramide: i portatori di interessi – soprattutto economici – e le lobby esercitano un grande potere sui leader, sui partiti e sul governo, che appare in cima alla piramide ma è anch’esso, inevitabilmente, sottomesso ai “big data”. Perché un governo “datacratico” è per definizione comandato dai dati, che sono indispensabili per compiere le scelte corrette in mercati globalizzati iperconnessi e ipercomplessi, ma anche necessari per ottenere e mantenere il consenso attraverso attente profilazioni ed analisi predittive dei dati. Gli algoritmi e i big data sono esterni alla sfera pubblica e appannaggio esclusivo di pochi attanti. Siamo già in una datacrazia?
Note:
[1] L. Di Gregorio, Demopatia, Rubettino, Soveria Mannelli 2019.